Maria Giuffre
L’occhio del fotografo è un occhio attento nel cogliere i minimi particolari, noel rendere visibile e fruibile ciò che altri non vedono e di cui non godono. Se poi quest’oc-chio coincide, come nel nostro caso, con quello di uno storico dell’arte e dell’architettura, grande esperto dell’età moderna, it risultato a esaltante, cosi come le immagini che abbiamo la fortuna di ammirare in questa mostra: una mostra dedicata al paese da cui Joaquin Bérchez proviene, e cioè allay Spagno, con alcune pro-paggini in America Latina.
Vedere, appunto, o meglio saper vedere: a questa l’invi-to che proviene dall’autore. Perché, dietro ognuno degli scatti qui esposti, c’è un processo di selezione colta e sensibile alle suggestioni delle forme: graifiche, geometriche, plastiche e sinuose; colonne, volute, onde e raggiere; pietre plasmate dalla sapiente mono dell’uomo; civiltà artigiana che impregna di se due aree mediterraneo, la Spagna, cui la mostra a esplicitamente dedicata, e la Sicilia, che è in un certo senso sottintesa, la patria di Joaquin e la nostra.
Spagna e Sicilia, appunto: due regioni legate tra loro da una storia comune dove vincitori e vinti, regno e viceregno, baricentro e periferia, si incontrano e si scontrano, compiono troiettorie nell’uno e nell’altro senso, trasmettono messaggi, appaiono talvolta simili tram loro negli esiti raggiunti.
Le somiglianze, pero, non significano sempre parentele; le esuberanze decorative possono essere caratteristiche indipendenti l’una dall’altra, anche se coeve. II «modello», invece, può essere unico, e capace di generare pro¬cessi simili o diversi. Due esempi: a partire dai grandi stilemi francesi, la lunga stagione del tardogotico mediterraneo interessa la Spagna e la Sicilia, con sviluppi sovente correlati ma, in parte, indipendenti; Roma barocca è certamente luogo di formaziorie, luogo emblematico di riferimento prima di approdare in molte aree ai prestigiosi esiti settecenteschi. La lunga tradizione ortigiana e la civility della pietra e dello stucco Bono qualità presenti nei due poesi, e anche nelle appendici coloniali; al Bari dell horror vacui che, in taluni casi, permea ogni superficie disponibile e sommerge la struttura propriamente architettonica.
Una equazione a doppio senso, un rapporto univoco, un «filo rosso» continuo? La civility non è mai statics, la storio non può rimanere confinata entro recinti blindati. Gotico o barocco che sia, lingua o dialetto, i fili si intrecciano, talvolta si imbrogliano, e le vie del mare sono aperte a tutte le correnti: anche se questa mare è nostrum, di Joaquin e dei tanti amici spagnoli, cosi come dei loro amici siciliani. La mostra è dunque un invito a riflettere sulla storia e sulla cultura, sul «dettaglio» e sulla sua capacita di rappresentare una intera civiltà: laddove, certo, l’operatore sappia cogliere, come fa Joaquin Bérchez, l’essenza di una sintesi.
[María Giuffré, “Saper vedere: l’occhio e la storia”, Otro Barroco, Università degli Studi di Palermo, Palermo, 2005]